I MILLE PERCHÉ - ANIMALI E PIANTE - IL REGNO VEGETALE

PERCHÉ I FIORI HANNO PROFUMO?

Ogni essere vivente è sottoposto ad una rigida legge, ad un ciclo vitale che ha inizio con la nascita e fine con la morte.
Nel periodo di tempo tra questi due punti estremi, che varia per ogni specie, essi compiono funzioni fondamentali, come quella della nutrizione, dell'adattamento all'ambiente in cui vivono, della difesa della propria integrità e del proprio diritto alla sopravvivenza, della riproduzione, infine, per la necessaria continuazione della specie.
Nella maggior parte delle piante quest'ultima funzione è affidata al fiore.
Il fiore è l'organo sessuale delle piante, il complesso apparato che consente loro di riprodursi e di continuare la specie.
Gli organi sessuali maschili, detti stami, contengono microscopici granelli noti con il nome di polline, e gli organi sessuali femminili, detti pistilli, contengono un ovario, un numero notevole di piccoli ovuli, che sono abbozzi di futuri semi.
Vi sono fiori che hanno o gli uni o gli altri e fiori che posseggono sia gli uni che gli altri.
Quando il polline viene a contatto con l'ovulo, quando avviene, cioè, la cosiddetta impollinazione, l'ovulo diventa un vero e proprio seme che darà origine ad una nuova pianta.
In natura avviene, generalmente, un'impollinazione «incrociata» e cioè il polline da un fiore passa ad un altro fiore, anche se ha in sé gli organi sessuali femminili.
Che cosa determina questo passaggio di polline da fiore a fiore?
Può essere l'acqua, anche se ciò avviene molto raramente, il vento molto spesso, ma il principale veicolo per l'impollinazione sono gli insetti che, posandosi sui fiori, raccolgono sul proprio corpo il polline e lo trasportano su altri fiori rendendo possibile l'unione tra polline e ovulo.
Noi, forse, siamo portati a ritenere il colore e il profumo dei fiori un grazioso regalo della Natura per la gioia dei nostri occhi e dei nostri nasi. Non è così.
I colori e il profumo non sono altro che affascinanti richiami per gli insetti, il secondo più efficace dei primi perché ha un raggio d'azione maggiore e può essere utilizzato anche di notte.
Il fiore che, piantato in terra, impossibilitato dalla stessa sua immobilità a compiere da sé la riproduzione, con il canto ammaliatore dei suoi colori e del suo profumo, richiama l'attenzione degli insetti affinché compiano, in sua vece, l'importante funzione.
La prova di ciò sta nel fatto che alcune specie di fiori emanano un odore disgustoso, per gli uomini, ma molto apprezzato da certi insetti, e che alcune altre emanano profumo solo sul far della sera per «invitare a nozze» le falene notturne.
Una rosa della varietà Golden Time

PERCHÉ DA UN SEME NASCE UNA PIANTA?

Il segreto della continuazione della specie presso ogni essere vivente, sta racchiuso in una sola parola: seme. Per quanto riguarda il regno vegetale, il seme contiene tutte le proprietà della futura pianta i caratteri ereditari della specie a cui appartiene.
Per seguire il seme nel suo processo di trasformazione in pianta, prendiamo ad esempio un seme di fagiolo, che presenta le varie sue parti in modo chiaro ed evidente e la cui trasformazione potrete seguire, volendo, ed esperimentare di persona, ponendolo in un batuffolo di cotone imbevuto di acqua.
Come potrete notare, il seme è protetto dalla buccia, sotto la quale appaiono due corpi carnosi e simmetrici, posti l'uno accanto all'altro a contatto, chiamati «cotiledoni».
Separandoli, si noterà, in mezzo, un corpicciolo allungato. Attenzione! Questo corpicciolo, detto «embrione», è la parte essenziale del seme, poiché, sviluppandosi, formerà la nuova pianta.
Esso contiene già, sia pure in miniatura, le sue parti fondamentali, e cioè una piccola radice, un breve fusto ed una minuscola gemma foglifera. Nel fagiolo e in moltissime altre piante, i cotiledoni sono rigonfi e carnosi perché hanno accumulato molte sostanze di riserva destinate al mantenimento della pianta che, in un primo momento, non è capace di nutrirsi da sola.
Non appena la pianta avrà radici sviluppate, capaci di trarre dalla terra il proprio nutrimento, i cotiledoni non serviranno più, anche se spesso germogliano anch'essi, inverdendo e funzionando per qualche tempo come normali foglie.
Perché abbiamo messo il seme di fagiolo nell'acqua? Il seme, secco, è improduttivo e, per ridonargli la vita, per svegliarlo da questo suo letargo, occorre che si gonfi d'acqua, per recuperare tutta la linfa che ha perso disseccandosi.
A questo punto nelle sue cellule pregne d'acqua, comincia una serie assai complicata di processi biochimici che permettono l'accrescimento dell'embrione.
Il primo sintomo di questa ripresa di funzionalità è il rapido riprendere della respirazione e, contemporaneamente, il disintegrarsi delle sostanze di riserva che vengono utilizzate per le primissime funzioni vitali.
Non appena l'embrione comincia a nutrirsi da solo, ecco nata una nuova pianta.

PERCHÉ LE PIANTE HANNO LE RADICI?

La radice, che abbiamo vista in miniatura nell'embrione, è la parte di pianta giunta a maturità che, solitamente, vive immersa nel terreno.
Essa compie due fondamentali funzioni: la prima di natura meccanica, è quella di sorreggere la parte aerea della pianta, quella cioè che sale verso l'alto, mantenendola solidamente eretta e abbarbicata al terreno e difendendola, così, dalla furia del vento che tende a strapparla e a trascinarla via; la seconda, vera e propria funzione vitale, è quella di assorbire l'acqua e le sostanze nutritive di cui è imbevuta la terra.
Se nella maggior parte dei casi la radice è terrestre, alcune piante hanno radici acquatiche o addirittura aeree, mentre esistono solo pochissime specie che mancano di radice e che, per questo, vivono parassite.
La forma della radice di una pianta adulta è, di regola, quella di un cono con la punta rivolta verso il basso, forma frequentemente alterata e zigzagante a causa dei vari ostacoli insiti nel terreno che deve attraversare.
Vi sono poi radici che, compiendo funzioni particolari fra cui quella di incamerare abbondanti sostanze nutritive di riserva, assumono una forma rigonfia e «tuberosa» (carota, ravanello, etc.).
Organi caratteristici della radice sono, infine, i cosiddetti «peli radicali», che, protendendosi come una fitta rete nel terreno, assorbono le sostanze nutritive. Essi occupano un tratto più o meno esteso verso la cima delle radici, soprattutto in quelle giovani, sono sottilissimi e molto numerosi: pensate che nel pisello se ne contano circa duemila in un millimetro quadrato di superficie.
Tipi di radice

PERCHÉ LE PIANTE PRODUCONO FRUTTI?

Così come abbiamo visto per i colori ed il profumo dei fiori, anche per quanto riguarda il frutto delle piante, gli uomini sono portati a considerarlo come un altro dono grazioso della Natura che ha come il soddisfacimento dei bisogni nutritivi dell'uomo una sua ragione specifica e sua funzione particolare.
Sono, comunque, fuor di dubbio l'utilità e l'alto potere nutritivo dei frutti di moltissime piante e il fatto che gli uomini ne usino è loro buon diritto, legato alla sopravvivenza.
Eppure il frutto, se vogliamo considerarlo nella sua veste puramente botanica, non esiste per nutrire gli uomini, ma per garantire la continuazione della specie.
Infatti, avvenuta la fecondazione dei fiori mentre gli ovuli si trasformano in semi, le altre parti del fiore cambiano: la corolla e gli stami di solito si disseccano, marciscono, cadono; l'ovario, posto nell'interno del fiore, si ingrossa e forma a poco a poco il frutto destinato a contenere ed a proteggere i semi.
Giunto a maturazione, il frutto o viene colto dagli uomini o, lasciato a se stesso, cade, si apre e fa sì che i semi ritornino alla terra per la nascita di nuove piante della stessa specie.

PERCHÉ LE FOGLIE SONO VERDI?

Le foglie sono organi delle piante e si presentano, solitamente, sotto. forma di lamine colorate di verde. Esse compiono funzioni fondamentali come quella di fissare il carbonio atmosferico e di eliminare, attraverso la traspirazione, l'acqua in eccesso. Il colore delle foglie è dovuto ad un pigmento chiamato clorofilla, un composto che ha caratteristiche simili alla parte colorata dell'emoglobina, il pigmento rosso del sangue: nell'emoglobina il colore è dovuto alla presenza di ferro, nella clorofilla alla presenza del magnesio.
La clorofilla è presente nelle foglie in varia misura ed è necessaria per compiere quella che si può considerare la loro più importante funzione: la fotosintesi clorofilliana.
E', questo, un complesso processo chimico, grazie al quale le foglie trasformano sostanze inorganiche come l'acqua e l'anidride carbonica in sostanze organiche (glicidi etc.) e in ossigeno che viene emesso all'esterno e va ad arricchire l'atmosfera.
Questo processo può avvenire solo alla luce perché, affinché esso avvenga, è necessario l'intervento di notevoli quantità di energia luminosa.
La fotosintesi avviene nei cloroplasti vivi, ricolmi, cioè, di clorofilla, la quale assorbe l'energia luminosa e la trasforma in energia chimica, che viene utilizzata per la scomposizione dell'acqua in idrogeno e ossigeno. Il primo viene usato per i successivi processi di trasformazione delle sostanze inorganiche, il secondo viene messo in libertà per nostro uso e consumo.

PERCHÉ LE FOGLIE INGIALLISCONO E CADONO?

Le piante si possono dividere, per quanto riguarda la durata della fogliazione, in sempreverdi ed in caducifoglie. Le prime hanno la caratteristica di mantenere il fogliame per molto tempo le seconde, invece, perdono le foglie alla fine di ogni ciclo vegetativo.
La caduta delle foglie, che in termine scientifico si chiama «corismo», avviene solitamente, nelle piante caducifoglie (ad es. il faggio), in autunno. Attraverso la defogliazione le piante legnose si liberano di molte sostanze inutili o nocive e, prima che ciò avvenga, le sostanze ancora utilizzabili passano dalle foglie al fusto ed alle radici.
Il distacco del picciolo dal fusto o dai rami è dovuto alla progressiva formazione di uno strato di cellule che, sotto forma di lamina trasversale, trapassa i cordoni fibrovascolari ed impedisce così il flusso delle sostanze nutritive che dalle radici e dal fusto passano alla foglia.
Questa, senza più nutrimento, a poco a poco muore. La clorofilla che le aveva donato il bel colore verde si essicca insieme alle altre cellule vegetali che compongono la foglia, ed essa ingiallisce.
Dapprima resta aderente al fusto, per la resistenza dei cordoni fibrovascolari, finché questi vengono spezzati dal peso stesso dello strato separatore o per azione del vento.
Allora la foglia cade e va ad ingiallire la terra: della sua antica vitalità non resta che un inutile ammasso di cellulosa.
Cadendo lascia aperta, là dov'era attaccata, una ferita che la pianta subito riveste di uno strato protettore, in attesa della primavera, quando la riaprirà per far spuntare una nuova foglia.

PERCHÉ L'ERBA SI RICOPRE DI RUGIADA?

La rugiada è uno dei tanti agenti atmosferici di cui abbiamo già parlato, come la nebbia, le nubi e così via, dovuta alla condensazione del vapore acqueo atmosferico in prossimità del suolo. Come sappiamo, la terra, di notte, emana il calore del sole assorbito durante il giorno.
Soprattutto nelle notti serene, l'aria tersa e frizzante, raffredda il vapore caldo in prossimità del suolo e lo trasforma in minutissime goccioline di acqua.
Al mattino, infatti, le foglie degli alberi e soprattutto l'erba dei prati ne sono letteralmente ricoperte, come adornate di piccole perle lucenti.
Ma perché il fenomeno si manifesta tanto vistosamente sulle foglie e sull'erba?
Perché, oltre al vapore acqueo dell'atmosfera, su di esse condensa soprattutto il vapore acqueo da esse stesse emesso.

PERCHÉ ALCUNE PIANTE RIESCONO A VIVERE NEI DESERTI?

I deserti, a causa della piovosità minima, sono luoghi non molto adatti alla vita. Questa si concentra prevalentemente nei luoghi fertili, nei pressi delle oasi, dove la presenza di una certa quantità d'acqua, consente la sopravvivenza, anche se in condizioni difficili.
Ciò nonostante molti tipi di piante riescono a vivere nei deserti, ad adattarsi in vario modo alla siccità.
Alcune, ad esempio, crescono così rapidamente da compiere il loro intero ciclo biologico nel volger di una pioggia, rimanendo in quiescenza, sotto forma di semi, durante le stagioni asciutte.
Dopo una pioggia, che quando cade lo fa con violenza e rapidamente scompare assorbita dal terreno asciutto o sotto forma di vapore, si può assistere ad una subitanea fioritura del deserto: molte specie di fiori spuntano e muoiono subito dopo, appena prodotti i semi.
Alcune specie di piante desertiche immagazzinano l'umidità nelle radici bulbose che continuano a vivere anche dopo la morte della parte aerea della pianta.
Tipica pianta desertica è, ad esempio, il cactus che, per poter sopravvivere, ha trasformato le foglie in spine per limitare al massimo la traspirazione e i rami e il fusto in foglie carnose che fungono da serbatoio d'acqua che la pianta raccoglie durante una pioggia e distribuisce con cautela durante la stagione secca.

PERCHÉ TAGLIANDO LA CIPOLLA SI PIANGE?

La cipolla, come l'aglio, appartiene alla famiglia delle Liliacee, originarie dell'Asia centrale. Il bulbo che accoglie e protegge il seme è ricco di sostanze nutritive e d'acqua.
Quando si taglia il bulbo di cipolla queste sostanze sprizzano intorno e poiché contengono delle essenze molto volatili ed attive a base di zolfo, i loro vapori quando raggiungono gli occhi ne causano una fastidiosa irritazione.
Di conseguenza, in virtù della reazione difensiva contro l'irritazione, le ghiandole lacrimali secernono le lacrime affinché facciano da scudo alla cornea contro l'attacco di questa sostanza estranea ed irritante.
Nonostante questo noioso inconveniente, le cipolle sono molto utili all'alimentazione poiché, così come l'aglio, hanno proprietà diuretiche antidiabetiche, antiscorbutiche e vermifughe.

PERCHÉ ALCUNE PIANTE SONO CARNIVORE?

Vi sono alcune specie di piante che vivono in terreni paludosi e poveri di sostanze azotate, le quali integrano la scarsa alimentazione cibandosi di piccole prede animali ricche di proteine.
Queste piante, in virtù delle loro abitudini, sono chiamate carnivore. Gli accorgimenti per poter catturare le loro piccole vittime sono svariati ed ingegnosi: quasi tutte hanno una sensibilità straordinaria ed al minimo contatto con un insetto fanno scattare come una trappola le loro foglie che si richiudono trattenendo la preda finché essa non sia completamente assimilata.
Alcune specie catturano la preda utilizzando sostanze vischiose ed altre, le più perfezionate, hanno delle foglie simili ad otri nel cui fondo giace una sostanza zuccherina che attira gli insetti. Questi, non appena caduti nell'ingegnoso trabocchetto, non riescono più ad evadere perché le pareti dell'«otre» cominciano immediatamente a secernere succhi ed enzimi molto simili a quelli dello stomaco umano: in breve, grazie al potere solubilizzante degli enzimi, gli insetti vengono assimilati, mentre la trappola è pronta per catturare un altro piccolo goloso ospite.
A piante di questa specie appartengono, ad esempio, le Nepenthes del Madagascar.
Una straordinaria predatrice è, inoltre, la Dionea Muscipola: non appena un insetto si posa sulle sue foglie che assomigliano ad una cerniera, esse si chiudono di scatto e trattengono la preda con gli aculei posti sul lembo fogliare finché questa non sia digerita; quindi la foglia si riapre e il vento spazza via i resti dell'insetto.
Non bisogna credere che queste piante crescano solo sotto particolari climi: anche da noi è abbastanza diffusa la Drosera, con le foglie cosparse di peli vischiosi che si rinserrano sugli insetti come tentacoli.
Ed inoltre, nelle paludi montane, è facile trovare varie specie di Pinguicole le quali possiedono fiorellini azzurri e foglie carnose, ricchissime di ghiandole.
È interessante ricordare che le foglie di queste piante sono cosi ricche di enzimi che possono sostituire l'abòmaso del vitello di latte nella fabbricazione del caglio.

PERCHÉ ALCUNI FIORI SI CHIUDONO DURANTE LA NOTTE?

Noi sappiamo che cosa sono i fiori e a che cosa servono.
Essi contengono i delicati organi riproduttivi delle piante e tutti hanno in comune una funzione importantissima, quella appunto della riproduzione producendo essi, nelle piante, i frutti e i semi.
Alcune specie di fiori, sensibili e freddolosi, al cader delle tenebre chiudono il loro calice per preservare questi delicati organi dal freddo e dall'umidità della notte. Al mattino, quando il Sole comincia ad inondare la Terra con i suoi caldi raggi, riaprono allora il calice e offrono i petali al benefico calore.
Ciò avviene soprattutto nelle zone in cui esiste una notevole differenza di temperatura tra il giorno e la notte.
Ma è interessante sapere che esistono specie il cui comportamento è esattamente contrario: non potendo questi fiori sopportare il calore del Sole, la cui intensità potrebbe essicarli, si chiudono durante il giorno per schiudersi solo durante la notte.

PERCHÉ LE ORTICHE PUNGONO?

Le foglie dell'ortica possiedono dei peli la cui base comunica con una vescicola a forma di ampolla, piena di un liquido acre contenente, fra l'altro, acido formico.
Se malauguratamente e inavvertitamente la nostra pelle viene a contatto con questi peli essi, assai deboli, si rompono ma prima iniettano il liquido urticante che ci provoca una dolorosa irritazione.
Le ortiche, piante dall'aspetto rustico, dal fusto eretto e dalle foglie ruvide, sono molto comuni nei luoghi incolti e nelle macerie.
Alcune specie, fra cui l'Urtica Cannabina, possono fornire fibre tessili che ancor oggi vengono utilizzate da certi popoli primitivi.
L'ortica viene anche usata nella medicina popolare per preparare decotti diuretici od applicazioni emostatiche ed a scopo revusivo.

PERCHÉ LE PIANTE GRASSE HANNO LE SPINE?

Le piante che vivono nelle regioni desertiche devono, per sopravvivere, immagazzinare dell'acqua.
I fusti carnosi compiono questa funzione quando cade la pioggia, rara ma torrenziale.
Se le piante grasse avessero le foglie l'acqua raccolta in breve si disperderebbe e, attraverso le foglie, si tramuterebbe in vapore.
Ed è per questo che le loro foglie, adattandosi all'ambiente si sono trasformate in spine le quali, oltre a non aver bisogno d'acqua, difendono la riserva vitale d'umidità della pianta dagli animali del deserto che potrebbero, in caso contrario, estinguere a sue spese la loro sete.

PERCHÉ LE RADICI DI CERTE PIANTE SONO COMMESTIBILI?

Parlando delle piante abbiamo detto come esse siano formate da tre parti fondamentali: radici, fusto e foglie. La radice è quella parte della pianta che, nella maggior parte dei casi, sta infissa nella terra, serve da sostegno alla parte aerea della pianta e le fornisce il nutrimento necessario assorbendo dal terreno acqua e sostanze minerali.
In alcune specie di piante la radice principale si ingrossa a dismisura poiché accumula una forte quantità di sostanze di riserva: nella maggior parte dei casi l'uomo utilizza per l'alimentazione proprio queste radici ricche di sostanze vitaminiche, tralasciando completamente di utilizzare il resto della pianta.
Prendiamo ad esempio la carota, una tipica radice «a fittone»: la carota è una pianta biennale che nel primo anno accumula nella radice le riserve zuccherine destinate a far fiorire o fruttificare la pianta nel secondo anno. L'uomo, coltivando la carota negli orti, la raccoglie qualche mese dopo la semina, non appena la radice ha raggiunto uno sviluppo sufficiente: la radice è ancora tenera e le sostanze nutritizie non sono state ancora utilizzate dalla pianta, a tutto beneficio dell'uomo, dunque.
La radice della carota si presenta di un bel colore aranciato, grazie alla presenza di un pigmento, il carotene, costituito di provitamina A, sostanza che il nostro organismo trasforma in vitamina A.

PERCHÉ I FUNGHI NON SONO VERDI COME TUTTE LE PIANTE?

I funghi sono vegetali privi di clorofilla: per questa mancanza di pigmento verde essi non solo non assomigliano alle altre piante ma non possono neppure produrre sostanza organica. Poiché per procurarsela devono trovarla già fatta, sotto questo aspetto assomigliano agli animali.
Tra le 38.000 specie circa di funghi, alcuni vivono parassitariamente alle spalle di altri organismi viventi, altri si nutrono dei resti di organismi morti (saprofiti), altri ancora vivono in simbiosi con altri organismi.
Quasi tutti i funghi, a parte i batteri anch'essi vegetali privi di clorofilla, hanno il corpo formato da una massa di filamenti costituiti da cellule disposte una di seguito all'altra, chiamato «micelio»: ciò che noi chiamiamo fungo è solo il corpo fruttifero dei funghi, dove si formano le spore, le cellule della riproduzione che, trasportate dal vento germinano e formano un nuovo micelio nei luoghi provvisti di sufficiente umidità e di nutrimento organico.

PERCHÉ SI SVILUPPANO LE MUFFE?

Le muffe di vario colore che noi a volte vediamo spuntare sugli agrumi, sulle pelli, sul cibo, sul formaggio e, possiamo dire, su ogni tipo di sostanza organica sono costituite da funghi comuni il cui corpo originariamente bianco (micelio) si ricopre di spore multicolori a seconda della specie. La maggior parte, comunque, si rivestono di spore verdastre e tra essi il più noto è senz'altro il Penicillium, di cui esistono circa 100 specie e i cui impieghi sono svariati.
Abbiamo già accennato alla «penicillina» quale migliore antibiotico noto, che si ottiene da due specie di Penicillium.
Nella lavorazione e nell'invecchiamento del formaggio, inoltre, vengono utilizzate muffe verdi della stessa natura mentre altre specie, unite ad un'altra muffa verde, l'Aspergillus, sono molto importanti nella produzione industriale di enzimi e di acidi organici.
Ad alcune specie di Aspergillus è dovuta la saccarificazione dell'amido del riso e delle patate dolci per la preparazione di bevande alcoliche. Tra gli acidi organici prodotti dalle muffe ricordiamo l'acido gallico che serve per la fabbricazione dei colori e dell'inchiostro e l'acido citrico usato per preparare estratti aromatici e bevande.

PERCHÉ ALCUNI FUNGHI SONO VELENOSI?

Abbiamo detto precedentemente che i funghi sono vegetali privi di clorofilla e che, a causa della mancanza di questo pigmento verde, non possono produrre sostanza organica bensì, come fanno gli animali, devono trovarla già fatta per utilizzarla. Abbiamo anche detto che il corpo carnoso che noi chiamiamo fungo, dove si formano le spore, è il solo frutto del fungo vero e proprio. Le spore non sono altro che semi e compiono la stessa funzione riproduttiva dei semi: trasportate dal vento esse danno origine ad un nuovo fungo, qualora cadano in un terreno adatto, ricco di umidità e di nutrimento.
I vegetali sprovvisti di clorofilla, contrariamente a quanto si possa pensare, sono diffusissimi in natura: crescono infatti a tutte le latitudini, sia ai tropici che ai poli, e a tutte le altitudini; spesso in una piccola porzione di buon terreno vi sono miliardi e miliardi di batteri e di funghi.
La loro funzione è d'importanza fondamentale per l'equilibrio in seno alla Natura: essi infatti sono responsabili della putrefazione di ogni residuo animale e vegetale.
I funghi possono essere di insostituibile aiuto agli uomini: la lievitazione del pane, la fermentazione del vino, antibiotici come la penicillina e la streptomicina sono dovuti a particolari specie di funghi. Ma possono essere anche molto nocivi: la loro fame di sostanze organiche che, mancando essi di clorofilla, non possono produrre, provoca la putrefazione di indumenti, di frutti, di ortaggi, e del legno (traversine, pavimenti ecc.) se non preventivamente essiccato; sono inoltre causa di molte malattie, di «micosi» nella pelle, di allergie varie, dell'asma da fieno; infine la maggior parte delle malattie che colpiscono le piante sono da attribuire al comportamento parassitario dei funghi. La maggior parte dei funghi sono commestibili ed il loro sapore è assai gradevole e caratteristico. Ma esistono alcune specie di funghi velenosi che possono provocare la morte.
Come si fa a riconoscere un fungo commestibile da un fungo velenoso? C'è solo un mezzo: riconoscerne la specie, poiché a nulla valgono le credenze popolari che siano velenosi i funghi non toccati dagli animali che solitamente se ne cibano o che anneriscono le posate d'argento.
Vi sono alcune regole auree che ci consentono di essere abbastanza sicuri, qualora vogliamo cogliere e mangiare dei funghi. Prima di tutto occorre guardarsi dalla loro bellezza: i funghi più belli sono di solito anche i più pericolosi; quindi non cogliere mai un fungo se non siamo sicuri della specie a cui appartiene.
Nei funghi si trovano molti tipi di veleno, alcuni più altri meno pericolosi, alcuni che provocano la distruzione delle cellule, che ledono il sistema nervoso, il fegato, i reni e il cuore, altri che provocano disturbi gastrici a cui seguono coma e morte, altri ancora che distruggono i globuli rossi del sangue. I meno pericolosi irritano comunque lo stomaco causando vomito e dolori intestinali intensi, o addirittura provocano una eccessiva gaiezza, disturbi visivi e altri sintomi simili a quelli propri dell'ubriachezza.
In genere questi veleni sono sostanze «termostabili» che resistono alla bollitura ed all'essiccamento; quindi non è possibile illuderci: è sempre pericoloso e a volte mortale mangiare funghi velenosi.
Riconoscere le specie commestibili da quelle velenose è veramente un problema poiché non è raro incontrare delle «controfigure» malefiche dei funghi buoni. Il Porcino, ad esempio, uno dei funghi più squisiti, ha delle controfigure velenosissime: e così dicasi per l'Ovulo che, pur essendo commestibile, appartiene allo stesso genere dei due funghi più temibili, l'Amanita verdognola e l'Amanita verna.
Perciò è molto facile ingannarsi nella raccolta dei funghi tanto che, se non si è più che sicuri, conviene affidarci ai funghi coltivati provvisti di regolare «atto di nascita».

PERCHÉ I TARTUFI NASCONO SOTTO TERRA?

I tartufi sono funghi «Ascomiceti» saporitissimi, i più cari e ricercati tra tutti i funghi. Essi crescono interamente sotto terra perché vivono in simbiosi con le radici di molte piante tra cui i pioppi, le querce ed i salici.
Poiché hanno un odore caratteristico vengono fiutati da molti animali che se sono ghiotti. Lupi, orsi, scoiattoli, cinghiali e maiali fiutano il tartufo e scavano la terra per estrarlo.
Da oltre mezzo millennio in Italia si addestrano maiali e cani affinché ci conducano al nascondiglio di questo fungo tanto pregiato.
Quella dei tartufi è una vera e propria industria e una parte considerevole del raccolto viene esportato.
I tartufi giacciono solitamente a cinque-dieci centimetri dalla superficie del suolo ed hanno dimensioni variabili, da quelle di una noce a quelle di un pugno.
Si conoscono più di cento specie di tartufi ma i più importanti sono quello bianco e quello nero. Il tartufo bianco è più pregiato e, quando giunge a maturità, ha un odore molto fragrante.
Il tartufo nero, invece, ha un profumo più acre e generalmente viene apprezzato di più quando non ha ancora raggiunto la piena maturità.

PERCHÉ IN UN TRONCO SEGATO SI VEDONO DEI CIRCOLI?

Un albero, sviluppandosi e crescendo verso l'alto, ogni primavera ed ogni autunno si fabbrica un nuovo strato di corteccia che va a deporsi su quello dell'anno precedente.
Ora avviene che la corteccia di primavera è formata da piccolissimi vasi legnosi di colore chiaro, mentre la corteccia che si forma in autunno è fatta di fibre legnose scure.
Segando un tronco d'albero trasversalmente, noi possiamo distinguere con chiarezza i cerchi concentrici, chiari e scuri in successione, e contarli: in questo modo noi possiamo sapere l'età esatta dell'albero che abbiamo abbattuto e segato.

PERCHÉ SOTTO I VASI DEI FIORI C'È UN BUCO?

Parlando di come cresce e si sviluppa una pianta, abbiamo detto che la sua crescita è dovuta al fatto che le radici assorbono dalla terra e dall'acqua i sali minerali e le sostanze nutritive necessarie. Fiori e piante grasse, coltivate a scopo ornamentale, sono racchiuse in appositi vasi pieni di terra e crescono se chi li possiede li annaffia regolarmente. Ogni pianta ha bisogno, per vivere, di una certa quantità d'acqua, né in difetto né in eccesso.
La poca acqua, infatti, determina una crescita faticosa ed incompleta; la troppa acqua, invece, può provocare l'imputridimento delle radici.
Ed ecco perché, sotto ogni vaso, viene praticato un foro: esso funziona come una valvola di sicurezza nel caso in cui la terra abbia ricevuto acqua in eccesso. Il liquido eccedente, dunque, può fuoriuscire dal foro e garantire un equilibrio idrico più opportuno e conveniente.

PERCHÉ IL RISO NASCE NELL'ACQUA?

Il riso è un alimento assai importante, fondamentale per almeno metà della popolazione mondiale.
I paesi orientali, la Cina, l'India, il Giappone e così via, assorbono quasi completamente la produzione annuale di riso, che colà è noto e coltivato da tempi memorabili.
Il riso è una Graminacea che, per crescere, ha bisogno di molta acqua e di caldo, per cui si sviluppa molto bene nelle zone tropicali, nelle quali è possibile fare addirittura due raccolti all'anno. Anche da noi cresce abbastanza bene, specialmente nella Pianura Padana, dove l'estate lunga e il terreno argilloso ed impermeabile, atto ad essere allagato, rendono possibile la coltivazione. Questa è interessante e complessa.
Prima di compiere la semina il terreno viene arato e zappato per frantumare opportunamente le zolle; quindi, dopo aver sistemato gli argini e ripulito i solchi, la risaia viene inondata e il terreno acquitrinoso viene spoltigliato e livellato dagli operai o facendovi passare sopra mandrie di bovini.
Preparato così il terreno, si effettua la semina, a mano o a macchina, e subito dopo s'innalza il livello dell'acqua, fino a raggiungere i quindici centimetri.
La semina si fa in aprile. In giugno e in luglio si esegue la mondatura, allo scopo di eliminare le piante infestanti.
Una pratica oggi abbastanza diffusa è quella del trapianto: si semina il riso in un semenzaio, cioè in un appezzamento di terreno di buona qualità, e dopo due mesi le piantine, alte almeno quindici centimetri, vengono sradicate e trapiantate a dimora nella risaia.
Questo sistema consente di risparmiare acqua per due mesi e di eliminare quasi completamente la mondatura.
La raccolta si effettua da agosto ad ottobre. I covoni sono trasportati immediatamente alle trebbiatrici e l'essiccamento dei granelli di riso si compie sulle aie o in essiccatoio.
I granelli sono ricchi soprattutto di amido mentre i sali minerali e le vitamine contenute nell'involucro esterno, detto «pula», si disperdono durante la lavorazione industriale.
Una risaia a Bali (Indonesia)

PERCHÉ DALLE OLIVE SI ESTRAE L'OLIO?

L'olio è una sostanza che si ricava dalle piante e si usa per cucinare, per fabbricare saponi, profumi, medicine e colori.
Si distingue in olio grasso ed in olio essenziale. L'olio grasso differisce dal grasso vero e proprio poiché, a temperatura ambiente, si presenta allo stato liquido contrariamente al grasso che è solido. Gli olî essenziali sono sostanze molto volatili, che evaporano a contatto con l'aria, ed hanno in genere sapore e profumo gradevoli. Gli olî grassi abbondano nei semi delle piante e si ottengono prevalentemente mediante spremitura: quello che si ottiene spremendo le olive nei frantoi è un ottimo alimento, nutriente e digeribilissimo, ideale per cucinare e per condire.
Di maggior pregio è l'olio ottenuto dalla prima spremitura, il cosiddetto «olio vergine», che presenta un bel colore dorato caratteristico, mentre le successive spremiture daranno un prodotto sempre meno ricco.
La lavorazione delle olive e l'estrazione dell'olio constano di diverse operazioni. Dopo aver raccolto le olive, si stratificano in solai evitando un'eccessiva presenza di calore che farebbe iniziare il processo di fermentazione dei gliceridi. Quindi si procede alla «molitura» in frantoi: le olive uscenti da una tramoggia sono frantumate da un cilindro orizzontale metallico ruotante, che presenta dei coltelli sulla superficie.
Questa è la prima spremitura che fornisce l'olio vergine, di primissima qualità. La pasta residua quindi, viene inviata alla torchiatura e sottoposta alla pressione di torchi a vite o di presse idrauliche. A questa fa seguito una terza spremitura che lascia un residuo solido, detto «sansa», costituente il 40% del peso delle olive frantumate. L'olio ottenuto viene immesso in separatori centrifughi per eliminare l'acqua, quindi viene chiarificato e raffinato. Per renderlo limpido lo si fa passare attraverso filtri fatti di carta asciutta o di vari strati di cotone. Per eliminare gli acidi disciolti nell'olio si sottopone ad un trattamento di deacidificazione mediante soda caustica e di decolorazione mediante un miscuglio di silicati. L'olio dopo tale depurazione viene infine conservato per lungo tempo in magazzino per consentire l'ultimo deposito di tutti i corpi estranei che sono ancora rimasti in sospensione.

PERCHÉ SI INNESTANO LE PIANTE?

La pratica dell'innesto, usata specialmente nella coltivazione degli alberi da frutta, della vite e degli agrumi, è nota fin dai tempi più antichi. L'innesto è fondato sul principio secondo cui i tessuti vegetali di piante diverse ma della stessa famiglia possono saldarsi a restare unite grazie ad un callo di cicatrizzazione che viene a formarsi nel punto in cui si uniscono. A quale scopo si saldano assieme due piante diverse? L'innesto consiste nel trasportare su una pianta selvatica (chiamata «portinnesto») uno o più rami provvisti di gemme appartenenti ad una pianta coltivata i cui frutti si desidera ottenere. Le gemme dipendono così, per quanto riguarda l'assorbimento delle sostanze nutritive, dall'apparato radicale della pianta selvatica, più robusta e resistente. E sta proprio in questo il vantaggio dell'innesto, cioè nella forza e nella resistenza della pianta selvatica, capace dopo l'innesto di dar buoni frutti, contrariamente alla pianta coltivata, ormai debole e a lungo sfruttata. Vi sono vari sistemi d'innesto, praticati all'inizio della primavera o in tarda estate, nei periodi, cioè, in cui si verifica maggior afflusso di linfa nei vasi legnosi.
Tra le forme più frequenti di innesto ricordiamo l'innesto «a scudetto» che si ottiene praticando nella corteccia del portinnesto, senza intaccare il legno sottostante, un taglio a T e introducendo nel taglio il rametto con le gemme, provvisto di uno scudetto di corteccia alla base; l'innesto «a spacco» che si ottiene tagliando un ramo del portinnesto ed incidendo la parte rimasta con un taglio verticale nel quale viene inserito il ramo con le gemme, opportunamente tagliato a cuneo; l'innesto «a corona», infine, che si pratica tagliando alcuni rami del portinnesto e scollandone la corteccia: tra questa e il legno si inseriscono poi diversi rametti gemmati, tagliati alla base in forma di linguetta.
Tipi d'innesto a gemma: a) "ad occhio"; b) "a pezza"

PERCHÉ BEVIAMO GLI INFUSI DI MOLTE PIANTE?

Fin dalla preistoria lo uomo, per curare i propri malanni, si è rivolto alla Natura e in particolar modo alle piante dopo aver scoperto che moltissime di esse posseggono virtù medicamentose. Gli antichissimi testi sacri indiani ed i papiri egiziani ci danno notizia che già in quei tempi l'uomo utilizzava a scopo medicamentoso le droghe estratte dalle foglie dell'aloe, della scilla, del giusquìamo. Numerosissimi furono i farmaci, non solo da prendere sotto forma di infuso ma anche in forma di pillole, di polveri etc., conosciuti ed usati dagli antichi greci: un grande greco, Ippocrate, compì i primi tentativi di interpretare scientificamente l'azione dei medicamenti, mentre a Dioscoride spetta il merito di aver raccolto nel trattato «Sulla materia medica» tutte le conoscenze fino ad allora acquisite, trattato che per 15 secoli restò l'unico testo autorevole in materia di farmacopea.
Nel medioevo un nuovo e importante apporto alle conoscenze farmacopeiche fu dovuto agli Arabi che introdussero in Occidente droghe come la valeriana, il rabarbaro, il colchico, la senna, la cassia ed altre.
La scoperta dell'America, infine, consentì di arricchire il già nutritissimo campionario con la china, l'ipecacuana, la ratania, la salsapariglia. I progressi della chimica, però, hanno finito per limitare l'uso di queste erbe sotto forma di infuso, mirando invece ad estrarre le sostanze medicamentose e ad impiegarle in composti più stabili ed efficaci.
Ciò nonostante nell'uso popolare si ricorre ancora spesso agli infusi d'erbe seguendo ricette e pratiche che la tradizione ha ormai consacrato. Oltre agli infusi di caffè e di tè (utili o dannosi nello stesso tempo per la «caffeina» in essi contenuta) assai diffusa, come voi sapete, è l'usanza di bere infusi di camomilla quale efficace sedativo, di valeriana per lo stesso scopo, di malva quale depurativo, lassativo ed emolliente.
È interessante ricordare, infine, che in Oriente, fin dai tempi più antichi, si usa bere infusi di alghe, soprattutto del genere «Laminaria», a scopo energetico e medicamentoso.

PERCHÉ NEL MARE CI SONO TANTE ALGHE?

Sulle terre emerse, nelle acque dolci e soprattutto nel mare, vivono circa ventimila specie di alghe conosciute.
Le alghe sono vegetali appartenenti al tipo delle Tallofite, come i funghi, ma, a differenza di questi, sono provviste di clorofilla e di altri particolari pigmenti.
Malgrado le apparenze, infatti, le alghe non hanno radici, né fusto, né foglie, né vasi linfatici: in quelle pluricellulari, le varie cellule non sono unite tra loro ma semplicemente avvicinate, una accanto all'altra, così da formare i caratteristici lunghi filamenti.
Le alghe sono essenzialmente vegetali acquatici, anche se alcune specie riescono a vivere sulla terra, vegetando in luoghi umidi, sui tronchi degli alberi e sopra le foglie (quando ciò avviene risultano un pericolo mortale per la pianta, poiché, impedendo ai raggi del sole di irrorare la foglia, ostacolano la fotosintesi clorofilliana) oppure in simbiosi con i funghi formando quel singolare organismo che si chiama «lichene».
Dunque, dal momento che la loro vita è prevalentemente acquatica e in virtù della loro notevole capacità riproduttiva, popolano in quantità considerevoli le acque dei laghi, dei fiumi e del mare.
Le alghe, soprattutto le specie verdi e azzurre, quelle cioè che vivono in superficie, possono essere così abbondanti da mutare il colore delle acque: galleggiando in masse enormi possono provocare notevoli inconvenienti, specialmente nelle acque dei laghi e degli stagni, inconvenienti dovuti soprattutto alla loro decomposizione.
Questa, infatti, provoca l'inquinamento delle acque e la morte dei pesci per asfissia, consumando a poco a poco tutto l'ossigeno disciolto. Alcune specie, poi, secernono veleni letali per l'uomo e per gli animali: questo ci dà l'occasione di ricordare che non bisogna mai bere l'acqua di uno stagno, dal momento che potrebbe essere infestata da questa pericolosa specie di alghe. Uno dei componenti fondamentali delle alghe è il pigmento che fornisce loro particolari colorazioni. Oltre alla clorofilla, comune a quasi tutte le specie, nelle alghe è possibile la combinazione di uno o più pigmenti. Si è scoperto che questi permettono loro di utilizzare i raggi solari a differenti profondità.
Noi sappiamo, infatti, che le varie radiazioni che formano la luce bianca del Sole si arrestano a profondità differenti: le prime ad arrestarsi sono le radiazioni rosse, utilizzate dalle alghe verdi le quali, di conseguenza, vegetano in superficie. Le alghe brune e le alghe rosse, invece, si trovano a maggiori profondità poiché utilizzano per la fotosintesi le radiazioni verdi, elaborate, come abbiamo detto, da pigmenti come la «ficoeritrina», la «ficocianina», la «ficoxantina» etc., che, unite alla clorofilla, donano loro colorazioni ora azzurre, ora rosse, ora brune. Le alghe si presentano assai diverse per forma e dimensioni: vi sono alghe unicellulari, visibili solo al microscopio, che vanno a formare, in quantità enormi di individui e di specie, il cosiddetto Fitoplancton, l'anello-base di una lunga catena alimentare. Il Fitoplancton, infatti, costituisce il nutrimento fondamentale per lo Zooplancton, il plancton di natura animale, il quale, a sua volta, è il cibo base per gli animali acquatici, dal piccolo crostaceo all'enorme balena. Altre sono piccolissime, appena visibili ad occhio nudo; altre, invece, possono superare la lunghezza di duecento metri, come ad esempio i Sargassi, di cui abbiamo parlato a proposito delle anguille.
È interessante sapere che le alghe unicellulari spesso non vivono isolate ma si riuniscono in colonie avvolgendosi entro una membrana gelatinosa, detta «cenobio», che in molti casi serve come filtro per i raggi solari (soprattutto nelle specie terrestri) contro il pericolo dell'essiccamento.
Le alghe si riproducono in modi diversi: quelle unicellulari per scissione, alcune specie per spore ed altre sessuatamente. Nella riproduzione sessuata vengono prodotte cellule maschili e cellule femminili che si congiungono: la cellula così formata si attacca sul fondo e dà origine ad una pianta adulta.
Le alghe marine, infine, possono riprodursi anche per semplice segmentazione del tallo.

PERCHÉ IL GIRASOLE SEGUE IL SOLE?

Il girasole è una pianta di origine americana che viene coltivata generalmente nelle zone con clima tropicale o temperato.
In Italia cresce abbastanza bene, nelle regioni meridionali, ma è soprattutto in America e nelle pianure della Russia che le sue dimensioni raggiungono il massimo sviluppo. Grazie ad un clima ideale, infatti, il girasole può raggiungere i 50 centimetri di diametro ed i tre metri di altezza.
Il girasole appartiene alla famiglia delle Composite, una famiglia che comprende circa ventimila specie (la stella alpina, ad es., è una di queste) molte delle quali decorano sia l'incolto che il giardino. Ma il girasole, oltre ad essere una pianta ornamentale, è soprattutto coltivata per utilizzare le radici a tubero, commestibili sia cotte che crude, ed i semi da cui si estrae un olio usato nell'industria dei saponi ed in cucina.
Il girasole deve il suo nome ad un comportamento veramente unico e straordinario, quello di seguire il sole dall'alba al tramonto.
Come avviene ciò e perché?
Come abbiamo detto, la pianta ha bisogno per crescere e svilupparsi nel migliore dei modi, di caldo e di sole. Fin dall'inizio dell'infiorescenza, infatti, predispone il fiore nella posizione più idonea a ricevere i raggi benefici, torcendo lentamente il fusto a questo scopo. Il fiore, così, volto verso il sole, ne segue il corso grazie al lento movimento del fusto che tende a ritornare nella posizione originaria e naturale.
Campo di girasoli

PERCHÉ SI DA' IL VERDERAME ALLE PIANTE?

Abbiamo più volte accennato come molti esseri viventi, appartenenti sia al regno animale che a quello vegetale, non conducano un'esistenza autonoma ma debbano appoggiarsi ad altri esseri viventi da cui trarre nutrimento e vita. Parlando dei funghi, ad esempio, abbiamo detto che, mancando essi di clorofilla, sono costretti ad attingere le sostanze organiche dagli altri vegetali che le possiedono e le producono.
Il comportamento di questi organismi parassiti risulta in molti casi assai nocivo, soprattutto quando la loro esistenza è garantita a scapito delle piante coltivate dall'uomo.
Funghi, alghe e parassiti animali, attaccando in molti modi le piante, ne impediscono il regolare sviluppo e ne provocano, sovente la morte in quanto ne assorbono le sostanze vitali.
Che cosa ha fatto l'uomo per liberarsi da questi naturali flagelli?
Con l'aiuto della chimica, e qualche volta con quello che la Natura gli ha messo a disposizione (organismi animali sterminatori di parassiti), si è fabbricato delle armi efficaci per salvaguardare le proprie colture.
Passiamo in rassegna alcuni casi, tra i più noti e diffusi: la Peronospera che attacca la vite, la patata e il pomodoro, l'Oidio che attacca la vite, lo Pseudomonas che attacca l'olivo, l'Aesoascus deformans che attacca il pesco e la carie, la ruggine ed il carbone che attaccano generalmente le graminacee ed in particolare il grano.
Sistemi di prevenzione contro questi parassiti non esistono in quanto l'infestazione si determina verificandosi particolari condizioni ambientali quali, ad esempio, la nebbia persistente e la umidità del terreno.
È possibile solo, nel caso in cui si verifichi l'infestazione della coltura, effettuare un trattamento curativo che estirpa il parassita.
Fin dalla metà del secolo scorso, allorché apparirono in Europa questi parassiti, la sostanza più comunemente usata è quella nota con il nome di «verderame» o «poltiglia cuprocalcica».
Oggi il suo impiego è limitato soprattutto alla vite, alla patata e al pomodoro in quanto, essendo formata di zolfo e di rame, la tossicità di quest'ultimo ne sconsiglia l'uso, ad esempio, sul pesco. La «bolla del pesco», infatti, appare quando il frutto è già in via di maturazione e il verderame può penetrare attraverso la delicata scorza del frutto.
Per questo sono stati messi a punto anticrittogamici più efficaci e di minore pericolosità, sostanze in cui il rame è stato sostituito da altri composti innocui per l'uomo.
Come agiscono il verderame e gli altri anticrittogamici? Possono intervenire in molti modi, a seconda della natura del parassita. Possono impedire la formazione del fungo sulla pianta ospite, uccidere le spore prima che il fungo si formi o uccidere il fungo in tutta la sua struttura.

PERCHÉ CI SONO OLIVE VERDI ED OLIVE NERE?

L'oliva, il frutto di un albero che noi conosciamo bene per essere caratteristico dei nostri climi, è una drupa (o bacca) dalla caratteristica forma ovale, da cui, come abbiamo visto in precedenza, si estrae l'olio.
Ma non si usa il frutto dell'olivo solo per estrarre olio: addolcito e variamente conservato, lo si impiega nell'alimentazione, come antipasto e gustoso contorno.
Le olive che utilizziamo nell'alimentazione si presentano in forma e con colorazioni diverse. Come è possibile? Perché esistono olive verdi e olive nere?
La spiegazione è molto semplice. Le olive verdi, quelle utilizzate sia per l'estrazione dell'olio sia per la tavola, sono state tolte dall'albero prima che giungessero a completa maturazione.
Le olive mature, infatti, tendono ad assumere naturalmente un colore scuro. Nell'ultima fase di maturazione in esse avviene un processo, detto «invaiatura» (comune anche all'uva nera), secondo cui le goccioline d'olio contenute nella polpa del frutto si fanno a poco a poco più grandi prendendo il posto dell'acqua, che evapora ed impedisce il normale processo di fotosintesi. La clorofilla, il pigmento che dà alle olive la colorazione verde, si essica e, come accade per le foglie in autunno, il frutto imbrunisce.
Ma non solo la Natura determina l'inscurimento delle olive: anche l'uomo, nel prepararle, può accelerare il processo di maturazione e farle così diventare nere. Immergendo, infatti, delle olive verdi non troppo acerbe in un bagno caldo di salamoia, si determina la fermentazione e l'alterazione dei gliceridi contenuti nel frutto, l'assorbimento dell'acqua ed il repentino essiccamento della clorofilla con il risultato di ottenere, alla fine della lavorazione, delle olive nere.